
 
															Votare SÌ significa scegliere una giustizia davvero terza, in cui chi accusa e chi giudica percorrono strade diverse, con responsabilità chiare e non sovrapponibili. La riforma mette in Costituzione la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti: due percorsi distinti che si incontrano solo nel processo, nel rispetto dei ruoli, per garantire al cittadino un giudice imparziale e un pubblico ministero forte e autonomo. È una scelta di civiltà istituzionale, pensata per restituire fiducia nella giustizia senza indebolire l’azione penale.
Questa architettura si regge su un doppio pilastro di garanzie: due Consigli superiori, uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica. Non c’è frattura dell’ordine giudiziario, ma un rafforzamento della sua autonomia interna. La massima Istituzione di garanzia resta al vertice, mentre ciascun Consiglio si occupa della propria funzione, con regole disegnate per evitare sovrapposizioni e zone d’ombra.
Per spezzare l’inerzia delle correnti, la riforma introduce il sorteggio entro elenchi qualificati. La componente laica nasce da una rosa di professori di diritto e avvocati che il Parlamento individua in seduta comune; la componente togata è estratta tra i magistrati delle rispettive carriere. Anche il vicepresidente proviene dall’elenco parlamentare. Non è arbitrio, ma una tecnica costituzionale per rendere gli incarichi meno prevedibili e quindi meno condizionabili, mantenendo alto il profilo di competenza.
La credibilità si gioca anche sul terreno della disciplina. Per questo la giurisdizione disciplinare viene affidata a un’Alta Corte autonoma, composta da quindici giudici con requisiti rigorosi e una presenza significativa di magistrati di comprovata esperienza. Le decisioni sono appellabili davanti alla stessa Corte in diversa composizione, così da assicurare il doppio grado senza interferenze esterne. È un passo avanti netto: si separano i piani, si specializza il giudice, si proteggono insieme indipendenza e responsabilità.
Infine, la riforma riorganizza in chiave trasparente la gestione delle carriere. Ai Consigli vengono affidati assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni. Si abbraccia un lessico—e soprattutto una pratica—di merito misurabile, periodico, verificabile. Meno alchimie, più criteri chiari; meno appartenenze, più qualità del servizio reso ai cittadini.
Il SÌ non è un salto nel vuoto, ma un investimento nella fiducia pubblica. Significa dire basta alle opacità che hanno logorato l’immagine della giurisdizione e aprire una stagione in cui terzietà, merito e responsabilità tornano ad essere parole concrete. Due carriere per una giustizia più giusta; due Consigli per un’autonomia più solida; un’Alta Corte per una disciplina più credibile. Per queste ragioni, al referendum costituzionale, noi e gli italiani sceglieremo SÌ.
Gian Domenico Caiazza (Presidente)
Giuseppe Benedetto
Massimiliano Annetta
Alessandro Barbano
Pierluigi Battista
Andrea Bitetto
Luigi Bobbio
Giammarco Brenelli
Andrea Cangini
Carlo Alberto Carnevale Maffè
Anna Paola Concia
Andrea Davola
Antonio Di Pietro
Ugo De Flaviis
Alessandro De Nicola
Raffaele Della Valle
Vincenzo Emanuele
Camillo Piero Falasca
Flavia Fratello
Nicola Galati
Ernesto Galli della Loggia
Ivan Grieco
Matteo Hallissey
Michele Magno
Tiziana Maiolo
Alberto Marchetti
Roberto Marvasi
Ludovico Mazzarolli
Valter Militi
Angela Maria Odescalchi
Vincenzo Palumbo
Emanuela Pistoia
Riccardo Puglisi
Andrea Pruiti Ciarello (Tesoriere)
Enrico Testa
Piero Tony
Enrico Trantino
Dario Valmori
Claudio Velardi
Sofia Ventura
Nicolò Zanon




